
Per quanto le immagini che vado sparpagliando sui vari social raccontino altro, febbraio mi ha accolta – più che altro, travolta – con la clemenza di un Pietro Savastano particolarmente belligerante.
Due persone care, due donnine d’altri tempi dal sorriso di zucchero a velo ma dalla nerba d’acciaio, sono volate in cielo a distanza di un pugno di settimane l’una dall’altra. Non ho fatto in tempo a piangere quella che per me era una nonna acquisita che se n’è spenta un’altra, mentre io mi spegnevo un po’ in generale.
Il lavoro, quel lavoro che talora funge da rifugio, da orticello quotidiano di soddisfazione e benessere, si apriva intanto a mo’ di faglia sismica sotto i miei piedi, inghiottendomi decisamente più del necessario e togliendomi qualche ora di sonno, insidiata da prospettive non proprio allettanti. E con tanto che adesso, con me, ho una persona che supporta – bene – il team tutto e me medesima.
Ma se vorrei tanto contare sull’effetto camouflage con la proverbiale nebbia-bassa-in-Val-Padana = nascondermi ed evaporare da un mese/da un mondo che pare sfuggire ad ogni logica e ad ogni tentativo di comprensione, il motivo è la sorte del piccolo L.
Compagno di Camilla sin dalla scuola materna – ora sono in quarta -, L. è un concentrato di vitalità allo stato puro la cui unica colpa è quella di esser cresciuto (pochissimo: sino ai tre anni o giù di lì) in un relitto di famiglia disagiata, che ha fatto sì che dai quattro anni in poi trovasse una nuova – splendida! – famiglia affidataria. Una nuova mamma, un nuovo papà, un nugolo di fratelli biologici e non, affidatari e adottati, una casa luminosa con giardino, palloni di cuoio e reti da calcio a volontà in questa famiglia Bradford de noiartri la cui generosità, umanità e calore sono qualcosa che sfugge ad ogni classificazione.
Per farla breve, da oggi L. torna in una comunità, quando la sua famiglia affidataria aveva fatto domanda di adozione. Adozione! Non solo: poiché la comunità è fuori città, anche l’anno scolastico nel nostro paesello per L. finisce qui. Da un giorno all’altro. Così. Senza logica, senza pietà. In linea con una burocrazia ottusa, con Carte dei minori che non sappiamo dove stiano di casa.
L. è distrutto, intorpidito, frastornato, al pari della sua famiglia che pure ieri gli ha voluto organizzare una festa d’addio con tutti i suoi – ormai ex – compagni; senza dubbio, la festa più triste cui abbia mai preso parte. L. non rivedrà la sua dolcissima mamma (perché mamma è chi mamma fa, poche chiacchiere) non solo non nel breve ma…forse neanche dopo.
Perché? Perché il tribunale ha disposto così.
Su quali basi? Ah, saperlo.
Sono un uragano assettato di tetti di fattorie del Midwest, in questi giorni. Per questo latito, perché è meglio non dia spazio ai tanti e sonori vaffa… che premono lì, tra l’epiglottide e la punta della lingua.
Fidatève che è meglio. Che poi torno.