Frattaglie di febbraio

La storia contamporanea racconta di un inedito Gustavo V di Svezia che nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, raccoglie le idee sul da farsi e stempera la tensione dedicandosi al ricamo. Se punto erba, catenella o margherita non è dato sapere, ma io che ormai ritrovo uno scampolo di calma interiore solo più a ritmo di quadri al punto croce sfornati, intelaiati e regalati in tempi da primatista olimpico, allineando migliaia di croci ogni sera, trovo questo precedente illustre quantomeno confortante.

La verità, io credo, è che in un orizzonte sempre più virtuale da un lato e povero di occasioni sociali dall’altro (vedi alla voce: pandemia) il lavoro manuale regala un duplice beneficio. Non servono manuali di psicologia per ricordarci che la ripetizione dei gesti, la ritualità, la routine in generale, insomma, allenano la pazienza e infondono sicurezza; l’altro plus è invece insito nel risultato della nostra creatività, che alla fine è lì, tangibile e visibile sotto i nostri occhi, quasi a ricordarci che Ehi! Ma allora siamo vivi, consistenti, operativi anche noi! Perché quanto appagante è rimirare un manufatto interamente realizzato a mano, anche con tutto il suo corredo di imperfezioni e crepe varie, ma pur sempre realizzato da noi, con le nostre operosi falangi? Non per nulla, in tempi pandemici, la riscoperta degli hobby e del fai-da-te hanno agevolato un’impennata nelle vendite del più svariato tipo di attrezzature, dai tappetini per lo yoga agli stampi per i plumcake, come la mia merciaia di fiducia (arrivata a spacciarmi fili DMC sottobanco nel buio della sera sporgendoli oltre il finestrino dell’auto durante il lockdown semi totale, cosa per cui non la ringrazierò mai abbastanza – io, i miei occhi non so) conferma soddisfatta.

Ma insomma: tutta questa sbrodolota socio-tecno-personal-bricolagistica per dire che sì, a febbraio ho sostanzialmente continuato a ricamare come un’invasata. Dovevo finire in tempo per il solito corniciaio – che da vent’anni “non ho il POS, ma lo metterò, ancora un paio di settimane…” perché addì 24 febbraio e poi 2 marzo avrebbero festeggiato il compleanno le due care amiche che vedete ritratte in foto accanto ai loro presenti crocettati. Eh? Come dite? Chissenefrega dei quadri, che carine le mie amiche? Che vi devo dire, non posso che darvi ragione!

Sempre a febbraio ho continuato a lavorare suppergiù con gli stessi ritmi del ricamo, ovvero come uno sherpa sotto anfetamine; ma sul finire del mese il meteo ha ben pensato di regalare ai torinesi qualche assaggio anticipato di primavera, per la gioia di chi come me era (ed è) trincerato in smart ma ha così potuto trascorrere un paio d’ore al portatile in terrazza. Per addolcire ulteriormente la pillola, santo Amazon mi ha portato in dono un’agenda che sembra pensata apposta per me, che di lavoro faccio la Client Coordinator. La vedete anch’essa in foto. e no, non vi sto ad ammorbare sul cos’è e cosa non è questo mio lavoro, ché tanto manco a casa nessuno l’ha ancora ben capito. In fondo, sono nuova del mestiere solo dal 2006!

L’altro beneficio della parentesi primaverile – cui, manco a dirlo, è puntualmente seguito un ritorno a temperature degne de La Marcia dei Pinguini che ci ha fatto riscoprire parka, brividini ed arti color melanzana – è che ho potuto per la prima volta estrarre dalla naftalina il mio adorato cappotto-confettoso, un regalo a tinte…pastello dell’augusta genitrice che risale a tredici mesi fa. E che, per cause facilmente immaginabili, l’anno scorso non ha mai, mai visto la luce. E qui mi piacerebbe aggiungere: solo quella al neon della cabina armadio. Ma la cabina armadio, indovinate un po’…? non ce l’ho.

Sul fronte letture, febbraio è stato generoso. Forte delle scelte ponderate e intelligenti che da sempre mi contraddistinguono (“Che bella cover! Lo prendo!”) ho inspiegabilmente inanellato una serie di scelte felici una dopo l’altra, ivi compreso un rosa che pur non essendo il mio genere, mi ha piacevolmente sorpresa. Il vero colpo al cuore – ma è più appropriato dire: allo stomaco – me l’ha però assestato La città dei vivi, il docu-romanzo-reportage-studio che Nicola Lagioia ha dedicato al brutale omicidio Varani. Sì se siete stomaci forti, ma sì anche se non lo siete, perché certe cose secondo me è sempre bene saperle. Io l’ho recensito qui: https://www.goodreads.com/review/show/3833484537?book_show_action=false&from_review_page=1

Ma insomma è passato un anno esatto da quando tutto è iniziato. Tanto che non c’è neanche più bisogno di specificare che cosa, sia iniziato: stiamo ormai cavalcando, e purtroppo anche e ancora molto soccombendo, alla terza ondata pandemica. Roba che se un anno fa ci avessero preannunciato: “Sapete cosa? tra dodici mesi, saremo ancora messi così!” avremmo pensato ad una battuta infelice. E invece. A casa, a ricordarci la triste ricorrenza, c’è pure il compleanno del maritt’, che cade in un beffardo 29 febbraio. L’anno scorso, anno bisesto (…anno funesto, appunto), a metà febbraio ci preparavamo a festeggiare con tutti i crismi visto che una volta ogni quattro anni ci sta, in montagna, in un locale caruccio, in baldanzosa compagnia….salvo poi cancellare tutto in fretta e furia sulla scia delle inquietanti immagini della città fantasma di Codogno e delle prime avvisaglie di ordinanze regionali anche in Piemonte. Quest’anno il 29 febbraio manco c’è stato ma, per quel che mi riguarda, stappare una bottiglia e azzannare una fetta di torta a casa di Sara e Luca, genitori della migliore amica di Cami nonché amici carissimi, mi è già sembrata una benedizione.

E insomma in qualche modo siamo arrivati alla fine – del mese e di questo mio flusso di coscienza arraffazzonato che non ho manco voglia di rileggere. Confido nel correttore automatico, confido nella vostra indulgenza. E se poi voleste farmi proprio felice, raccontatemi nei commenti quanlche vostro accadimento recente degno di nota. Ricordando che vale un po’ la qualunque, anche l’aver riparato una mensola claudicante con il flessibile o l’aver intagliato col temperamatite il vassoio da portata.