Not living my best life. E i 40° all’ombra non aiutano.

Not living my best life, lately – rispondevo ieri ad una collega svedese che invece è in vacanza in Sicilia e tra teatri greci e granite in riva al mare sta avendo un great time, awesome places, delicious foodarimortacci no?

Crisi di governo, crisi Totti-Blasi, crisi idrica, crisi di chi fa smart senza condizionatore a casa (presente!), vogliamo non metterci uno straccio di crisi esistenziale amche noi, scusate? Ma no, certo che no.

E così alle mie lamentazioni modello Evita Péron II, domenica (a Bardonecchia, 1300 m, 26 gradi celsius di beautitudine almeno per un dì) l’amico Fabio rispondeva sollevando ironico il sopracciglio “Mai sentito parlare della crisi do mezza età…?”

Ecco, credo quello sia stato il colpo di grazia dopo quello che mi è sembrato un weekend eterno, complice il sottofondo incessante di pensieri limacciosi che normalmente non faccio, o meglio ho imparato a sotterrare nel fango con discreta destrezza.

Ecco, ultimamente non più. Da qualche giorno i pensieri bui m’investono e mi travolgono con la violenza dell’aria bollente che soffia verso il marciapiede dai bocchettoni su Via Roma, angolo Benetton, alle 15.00 di un qualsiasi pomeriggio di questo luglio sahariano. E tu sudi e arrossisci e sbuffi e lì per lì credi che perderai i sensi, nonostante l’iced caramel macchiato da 750 Kcal nella mano destra, e magari c’hai anche lo zainetto portapc carico sulle spalle col cambio abito, così, per dire.

Fattostà che il tuo livello di felicità è quello di una serata disco-nostalgia di provincia con il ballo a plachetto che però tutti han disertato.

Un po’ come quando la love story del momento, ma che tu credevi di sempre, chiaro, s’arena e sei tu quella a disamorarti o comunque a mettere la parola fine: stai male, malissimo, perché col cavolo che solo la parte lesa sta male – se hai un briciolo di coscienza, se l’affetto è rimasto, se sai per certo che per la controprate sarà una picconata sulla capoccia, allora starai male doppiamente, perché starai male per il male in sè ma anche per aver causato del male…vabbeh, esperienza di vita vissuta, anche se qui non c’entra niente – però, dicevo quando una certa epoca, una certa storia è oggettivamente arrivata al capolinea, nascondere la testa sotto la sabbia è impossibile.

L’evidenza del tutto ti si spiaccicherà comqunue in faccia con la grazia di un tornado e la penna leggera di Dagospia. Magari non sarà una faglia sismica sotto le infradito, ma il vuoto cosmico della piazza deserta del ballo al palchetto sì.

(Si intuisce che in una vita precedente di balli al palchetto ne ho bazzicati tanti? Sì, eh?)

Ma insomma al momento la mia verve è quello di una busta vuota che danza nel vento nel parcheggio del Conad, rendo l’idea? In balia degli eventi, incapace di bloccare i pensieri, le labbra increspate dall’amarezza che si sollevano in tirati sorrisi di circostanza – anche perché sono perennemente attorniata da persone, il leit motif della mia vita da eremita mancata – senza che però gli occhi le accompagnino davvero.

Come in una fotografia sovraesposta, contorni e immagini di quel che sarà la tua vita ti appaiono, dall’oggi al domani, incerti e sfalsati. Tu che di norma vedi il bello anche nell’etichetta nutrizionale del Muller bianco percepisci chiaramente di avere, al momento, la stabilità mentale di Elon Musk.

E allora butti giù queste poche righe sconnesse, perché dar voce ai propri pensieri ti sembra voglia dire mettere ordine un po’ ai pensieri stessi, che al momento razzolano impazziti come galline sull’aia prima del temporale.

Mentre le parole del tuo amico risuonano implacabili e così dannatamente azzeccate, tant’è che è impossibile non soffermarsi e pensare che intanto però a questa benedetta/maledetta mezza età tu ci stai arrivando, seppur arrancando malamente: il tuo migliore amico, colui che hai amato come un fratello minore, colui al quale corre il pensiero un giorno sì e l’altro pure, si è fermato molto prima.

Perciò altro che Totti e Blasi, qui c’è gggrossa gggrisi.

Oddio, nulla che un Americano ben dosato non riesca a stemperare almeno un pochetto, chiaro.

Nell’attesa, Starbucks e Polase. Sognando California. Sognando anche solo, boh, un temporale.

Generazione di fenomeni 3.0 edition

Non è solo una frase d’autore che nel gergo pallavolistico designava le eccellenze maschili della nazionale anni ’90;

non è neanche soltanto la leggendaria canzone degli Stadio del lontano 1991, né (boomer, sospirate con me) la sigla di una contemporanea e meravigliosa serie di Rai 2, direi la Beverly Hills 90210 de noiartri, visto che ruotava attorno alle vicende amorose di un gruppo di liceali romani, intitolata “I ragazzi del muretto”.

No, “generazione di fenomeni” è anche e per me soprattutto un attualissimo e nutrito bestiario di wannabe fuoriclasse moderni, un campionario di esaltatissima fauna umana che l’esimio Foster Wallace non esiterebbe a fare oggetto di una delle sue monografie, dopo quella dei croceresti.

Non so voi, ma io ultimamente sono circondata, da Fenomeni.

Li incontro con la frequenza con cui incrocio il corriere Amazon e li patisco come patisco la peperonata la sera dopo ‘na certa: nel loro vuoto cosmico dimentico di contegno e senso della realtà, non tutti ma una buona parte mi stanno decisamente indigesti, proprio come la peperonata nottetempo.

Ma approcciamoci dunque con spirito di etnografo e lente dei RIS alla mano alla disamina di questa grande e convintissima comunità – comunità al 90% maschile, stando alle mie ricerche sul campo: il Fenomeno che conosco io non sa che farsene, del low profile e di quello spirito di understatement peculiarmente femminili. Anche se qualche Fenomena, ovviamente, c’è; noi diremo Fenomeno per dire Fenomen*, ecco.

Il Fenomeno è convinto. Anzi, convintissimo. Orgoglione – che sì, fa rima con altro -one -, logorroico, incontenibile e inspiegabilmente certo che l’ego ipertrofico che si porta appresso a mo’ di torcia olimpica sia per il prossimo motivo di ammirazione se non di autentica invidia.

Avete presente la pagina IG del “Milanese Imbruttito?”

Ecco, diciamo allora che l’idea di base è quella, però pompata a livelli iperspaziali. Ma davvero una buona fetta dei Fenomeni che conosco saluta con “Ué, grandissimo/a!” solo perchè non si ricordano il tuo nome, mica per altro, ti elenca tutti i suoi sbatty e va immancabilmente di frettissima – magari a tagliarsi le unghie degli alluci, ma di frettissima.

Il Fenomeno nostrano, tuttavia, si contraddistingue non tanto per il lessico, quanto per i contenuti; contenuti che arrivano talora già di prima mattina, in filodiffusione dagli speaker dell’automobile quando la tua monovolume zigzaga in modalità pilota automatico verso l’ufficio, gli occhi incrostati di sonno, unico obiettivo: sopravvivere sino a sera.

Il Fenomeno invece no, il Fenomeno si sveglia già carico come una dinamo, performante come una confezione di Foodspring doppio cioccolato, pronto a conquistare il mondo e piantare la sua bandiera in vetta al K2. Lo intuisci da come parla, dal fuoco di fila di domande (Come va, che fai, dove vai, novità, weekend??) a cui però se sei fortunato non devi neanche scomodarti a rispondere: risponderà lui per te, esemplificazione perfetta del “me le canto e me suono”, che poi son quasi divertenti, questi monologhi, un’alternativa pittoresca a Radio Deejay e comunque sempre più piacevoli di un acufene, toh.

Il Fenomeno pensa di essere oggetto di ammirazione – e non di post ridanciani su WordPress – perché, beh, perché sostanzialmente è ricco. Ricco in senso materiale, e cioé nel conto in banca e nel suo palmares di latin lover: il Fenomeno ti delizia con i suoi successi lavorativi e con le sue conquiste sentimentali – okay, togliamo sentimentali; il Fenomeno guadagna i paperdollari e frequenta le mejo squinzie; il Fenomeno ha sempre qualche prenotazione vacanziera all’attivo – se breve a Ibiza anche se Formentera è meglio, se più lunga in qualsiasi città/nazione che faccia rima con parco di divertimento per adulti abbienti.

Il Fenomeno ha naturalmente amici Fenomeni ad alto tasso di riccanza che lo invitano per il weekend a Saint Tropez sul mega yacht – ma qui non è fondamentale che te lo racconti perché in effetti la sua pagina IG, che tu scrolli tutte le mattina per fare il pieno di buonumore e spunti ciarlieri tipo questo, è un mosaico di sorrisi sbiancati sui tender tra le onde del Mediterraneo, dell’Egeo e prossimamente su qualche atollo del Pacifico.

Il Fenomeno è prestante, ma sul come non sottilizziamo: se nelle medesime foto il nostro etnografo noterà un mix sospetto di pelle color cuoio innaturalmente tesa, nervature sui deltoidi e avambracci da Popeye disegnati da vene in rilievo e si chiederà se frutto di dieta proteica? palestra? crioterapia?…ecco no, la rispostà sarà: filtri instagram a manetta senza pudore e senza vergogna. Ma quel che conta è il risultato!

Il Fenomeno così come l’ho descritto è in realtà la sommatoria algebrica dei tanti Fenomeni che ho incrociato sul mio cammino negli ultimi lustri – e che per inciso maritt’ si ostina a definire “simpatici”.

Ecco, sul fronte simpatia potremmo aprire un altro capitolo, ma non vi voglio così male. In soldoni, il mio punto è che tutte le caratteristiche di cui sopra, di per sé, non fanno di un Fenomeno una cattiva o spregevole persona: tuttalpiù, una pittoresca macchietta da film di Verdone.

Ciò che fa proprio implodere le mie coronorie, quando ho a che fare coi Fenomeni, è il fatto che 8 volte su 10 questi uomini e donne che per come si raccontano “non devono chiedere mai” tipo pubblicità del Denim Musk, ti chiedono invece favori su favori ma attenzione: dipingendoli come TUE fantasmagoriche opportunità di fama, guadagno, successo, crescita personale e pubblica e compagnia bella.

Io, che pure so di sembrare svaporata, per anni ho tagliato corto per arrivare al punto. “Ah Tizio/Caio/Semproni*, non girarci intorno: cos’è che vuoi da me?” e realizzato….aum, vediamo…curricula (a iosa), profili aziendali, tesi, tesine, traduzioni, script per siti internet e per editoriali, testi per inserzioni a pagamento, per sonate, balalte e tarantelle (okay tarantelle no), dispense per corsi fai da te, libercoli (anche per parenti, ma lì a chiedermelo non era un Fenomeno bensì mio suocero, che di fenomenale ha solo la ricetta per la pasta spada & pistacchi) e ancora, recensioni, ruriche off e online e molto altro che credo di aver rimosso per mancanza di giga sull’hard-disk.

Il punto è che tutte questo cose uno (io) le fa anche volentieri, se gli riescono facili e lo divertono; dirò di più, lo fa con autentico piacere per amici e persone care.

Ma per un Fenomeno, che ti promette in cambio mari e monti, ti inonda di partole vuote quanto la scatola cranica di Gianluca Vacchi, ti dice “ahhh, un talento come il tuo vedrai come lo rilancio ioooo“, “ah, ma qui si fa il botto sicurooo” e poi manco un caffé al bar converrete con me che tutto ‘sto gran trasporto non c’è.

Ormai da tempo, ho deciso che io non voglio essere la colf sottopagata di nessun Mr Enjoy – e lo so, non c’è da vantarsi, ma sì, ho guardato quella cafonata di Mucho Màs; però lasciatemi spezzare una lancia a favore della produzione di Prime per confermare che non c’era nessun motivo per rimuoverlo, trattandosi di documentario (?) che non parla assolutamente di N U L LA, vedi alla voce *scatola cranica di. Di contro, regala allo spettatore tanti begli interni da sogno, fuoriserie cromate, cene stellate, prati all’inglese e divertenti ballett….ah, no.

Ma insomma. Di generazione di fenomeni, per me, ce n’è una sola. E ordunque intoniamo insiemeE.

Generazione di fenomeni, siete voi

Generazione di fenomeni, tutti eroi

Generazione di fenomeni, come noiiiiii