Wake me up when September ends. E cioè ora.

Del settembre appena archiviato mi limiterò a dire che l’unica gioia – che gioia, poi – è stato il grande successo della mia sempre fornita vetrina Vinted, che complice il cambio di stagione e i relativi saldi, sconti sui set, trattative estenuanti tipo bazar alla Medina (una caratteristica, questa del mercanteggiare, che le aficiodanas dell’App ben conoscono), ha registrato una notevole impennata di vendite.

Ecco. Ho finito.

Null’altro di buono da registrare in un mese che ha segnato il rientro in ufficio e, nel giorno esatto della ripresa, le dimissioni di colei che per quasi quattro anni è stato il mio braccio destro.

Che è proseguito con una serie di sfighe personali che non riesco a non ricollegare a ben più clamorosi patatrac planetari: perché suvvia, cosa ci si può aspettare da un settembre che ci dà il benvenuto con il trapasso di quell’highlander di Elisabetta II, mentre la bellicosa separazione Totti-Blasi tiene banco sulle prime pagine dei giornali di gossip, seguita a ruota da quelle di almeno cinque o sei altre coppie di starlette più o meno note che sempre a settembre pensan bene di imitarli: sarà un trend anche questo, chiaro! E che – facezie a parte – continua con l’inasprirsi delle posizioni belligeranti/deliranti di quella scheggia impazzita di Putin, con ripercussioni catastrofiche sulla povera Ucraina ma ormai anche povera Russia e poveri noi condomini serviti dall’Enel… Ci mancherebbe giusto una crisi di gover…ah no, anche la crisi di governo non s’è fatta mancare e le elezioni del 25 settembre sono andate… come sono andate.

Basterebbe la metà del bailamme nazionale&internazionale a fiaccare gli animi dei più indomiti ma no, qui abbiamo deciso di non farci mancare davvero nulla.

Non bastano dunque gli ordinari sensi di colpa da pedine impotenti di una generazione destinata (evidentemente) a lasciare solo pessime eredità ai propri figli, no.

Ci si mettono i figli stessi, a farci sentire mammiferi incapaci un tempo al servizio della specie, le cui presenze da sempre premurose e instancabili e sino ad oggi skillatissime nel sbrogliare i nodi delle altrui esistenze ingolfate con maestria e pazienza tutt’a un tratto non sono più adatte. Né performanti, né lontanamente capaci di sostenere e figuriamoci capire l’esito di quel triplo carpiato senza rete in quella stagione che ha i contorni liquidi e la consistenza evanescente della (pre)adolescenza.

(immaginetta virtuale dell’urlo di Munch)

Non aggiungerò altro, perché da un lato il promemoria di cui sopra mi è più che sufficiente per ricordare cos’è stato questo settembre da incubo e dunque relativizzare tutti gli altri drammoni che verranno; e dall’altro, perché un giorno a leggere queste pagine potrebbe essere la stessa giovane erede, che non so quanto avrà piacere di sapere che in queste quattro settimane mi si sono prosciugati i dotti lacrimali, ho accumulato debiti di sonno che manco i neogenitori di sei gemelli ed infine ammorbato amici e famigliari sino allo sfinimento acustico (da un certo punto, ovvero da un punto di ripresa, in poi: quando stai troppo, troppo male non riesci neanche a parlar da sola, figuriamoci con gli altri).

La butto in caciara (ci sta!) ma mai come in questo mese ho toccato con mano i miei limiti e la mia impreparazione di madre, che in parte imputo al fatto che il conflitto generazionale che ci teneva così, eam, combattivi & arzilli quando eravamo teenager noi sia ormai un lontano ricordo.

Non solo io – il che è almeno in parte consolante – ma la grande maggioranza dei genitori miei amici vive la genitorialità come me: come un privilegio e una missione di guida, certo, ma anche di sostegno incondizionato verso i propri figli; solo che tra il sostenere e l’annullarsi nel tentativo (errato) di sostituirsi ad un figlio nell’opinabile convinzione che “amare vuol dire aiutare” passa veramente poco.

Ma poco pochissimo.

Non pensi di farlo, ma lo magari lo fai.

E insomma mi son fatta un sacco di seghe mentali esami di coscienza mentre i tipedi tramonti estivi cedevano il passo ai rugginosi colori dell’autunno, e il tutto per giungere all’amara conclusione che esistono disagi profondi e collettivi non ascrivibili alla sola & piccola cerchia famigliare; che, di nuovo, siamo davvero la prima generazione che potrà ricordare una giovinezza e forse una vita più semplice e felice di quella dei propri figli; e poi, certo, che non esistono genitori esemplari di minori perfetti.

Lo sapevo anche prima, certo. Ma un conto è averne idea, un conto è toccarlo con mano.

Ciò detto: ottobre, mi senti?!

No perché…mi aspetto grandi cose da te. Sappilo!

4 pensieri riguardo “Wake me up when September ends. E cioè ora.

  1. Leggerti, per me è sempre un piacere. Mentre leggo mi accorgo che rido da solo, come mi succede quando per strada vedo quelli che usano l’auricolare e parlano al cellulare…. Le tue parole nascondono un concetto ed hai il dono di saperle usare molto bene….ma questo già lo sai. Un’analisi di Settembre che condivido ma cosa ci aspettiamo da Ottobre? Personalmente, solo tanta serenità. Un abbraccio affettuoso 🙂

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    1. …e dici poco, caro amico mio: serenità, questo bene prezioso, più agognato di una fornitura di gas a prezzo politico nell’inverno che verrà! Grazie, grazie per essere sempre così carino con me. L’ho buttata in caciara (as usual) ma non ti sarà sfuggito che questo settembre è stato per me un mese tosto, tostissimo, da cui mi sto (un pochino) riprendendo ora. Perché ci son cose che semplicemente non si possono scrivere e sensibilità da satr bene attenti a non urtare. Io, invece, sono un po’ il quarto di bue da macello per todo el mundooo…e vabbeh;-)

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