2024, quando si dice: partire col botto.

…e che botto!

Che poi per carità, alla Ferracchia nazionale è andata pure peggio, col #pandorogate presto divenuto #biscottigate, #bambolagate, #uovadiPasquagate e chi più ne ha (pelo sullo stomaco, dico) più ne metta. Per me per inciso il crollo della maschera era dietro l’angolo – troppi selfie con troppe duck faces, troppa ostentazione, troppi bambini sbattuti a favore di telecamera ma soprattutto un codazzo di manager e comunicatori-fuffa esclusivamente votati a lustrare l’ego ipertrofico dell’asso pigliatutto & gentil consorte, un altro che in quanto a comunicazione potrebbe prender lezioni dal barista di Homer Simpson…ma andiamo avanti!

Dicevo, poteva andare peggio – può sempre, andare peggio – ma un dicembre nero pece che si apre con la rovinosa caduta in casa della mater familias con conseguenti fratture multiple, degenze e patimenti per lei, per me, per mio padre – non è che lasciasse presagire proprio tutti ‘sti frizzi e lazzi e cotillon. Anche perché dopo un 25 dicembre trascorso in ospedale (favorisco la diapo, che allegria, eh?) i giorni di degenza erano ancora molti, e solo da fine anno in una clinica degna di questo nome. E qui potrei partire con un pistolotto senza fine in tema di sanità pubblica in Italia (Chi l’ha visto? Rai Tre, ogni mercoledì sera) ma ve lo risparmierò.

Cercando di indossare un sorriso (un po’ tirato, per la verità, tipo quelli che ostenta la Ferracchia adesso, presente?) e riappropriarmi di un minimo di buonumore, dopo tante, troppe notti in bianco nonostante il Lexotan, fiumi di lacrime che manco Evita Peròn, una stanchezza atavica avvinghiata alle ossa manco avessi messo su da sola la piramide di Giza (no, in effetti: però quindici giorni all’ospedale due ore a pranzo e oltre due ore a cena, e nel mentre rincorse dietro ai medici, ricerche di strutture di riabilitazione, e in tutto questo casa, minore, lavoro, colloqui a scuola, spettacoli di danza, libri, auto, fogli di giornal...).

Che poi è da fine settembre che vivo in una sorta di stato di perenne emergenza, in cui le ansie si amplificano ma lungi dal generare paralisi, su di me sortiscono l’effetto opposto: mi caricano a molla, tipo coniglio ipercinetico Duracell (qualcuno sa di cosa vado blaterando? vabbeh, pazienza: se non sapete, siete giovani, buon per voi) e dunque galoppo da alba a notte come un criceto impazzito, ostaggio di una TO DO list potenzialmente infinita, sfiancata a livelli olimpici ma totalmente incapace di fare piani o progetti che vadano più in là di domani. O stasera stessa. Che se ti fermi un attimo e ci pensi su, è tristissimo.

…ma ad oggi ancora non riesco a fermarmi e quindi accantono il pensiero.

E insomma va così. Una persona più diplomatica direbbe che siam partiti in salita, che ora come ora si viaggia un po’ sottotraccia in attesa di tempi più tersi…mentre io confesso limpida che è un periodo di assoluta EMME, in cui non smetto di ringraziare chi, nonostante tutto, mi tiene a galla e non mi permette di affogare nel liquame. Pater familias e amici in pole position.

E’ un gennaio eterno e velocissimo, concitato e densissimo da un lato, vuoto e asfittico dall’altro, nel senso che le 24 ore giornaliere – che dovrebbero essere almeno 36 – sono piene come un kebab rinforzato ma di tutte e sole incombenze. Non c’è spazio, e non c’è spazio perché non ci sono nè tempo né energie, per i progetti, per i libri, per i ricami, per le prenotazioni last minute del mini-weekend. Non c’è spazio manco più per i sogni, sul serio – sino a questa estate mi risvegliavo incrostata di sogni vividi e pirotecnici, adesso non sogno più assolutamente nulla. Zero. Nada. Rien ne va plus.

Per dare l’idea, una delle giornate (serate) da albo d’oro del mese è stata lo scorso venerdì, io e il consorte a cena nel ristorante (spaziale) di mio cugino (mmmio cugggìno), un paio d’ore di sola e assoluta goduria enogastronomica….ma anche questo perché reduci da settimane di guerre intestine, a cui avevo messo fine più per sfiancamento che per convinzione alzando bandiera bianca al grido di: “E mo’ basta, ora si va a cena ma non si parla di X, Y, e Z!!!”. E sì, all’inizio ci si scambiava osservazioni sul tempo e sembrava di stare alla corte di Buckingham Palace. Alla seconda bottiglia di bianco, in una qualsiasi Curva Sud di serie C.

Avendoci a che fare ogni santo giorno, ogni tanto penso con invidia agli ormai sei milioni di italiani all’estero, chiedendomi se in un contesto famigliare impegnativo come il mio essere altrove farebbe la differenza. E la risposta però è no, perché ora come ora sarei comunque (rientrata) in Italia per essere accanto a chi, alla fine della fiera, ha bisogno di me quanto io ho bisogno di loro.

Una sorella/fratello ma rigorosamente clonato, ecco, quello sì, che forse farebbe la differenza 😀

Lascia un commento